I’ll tell you a riddle. You’re waiting for a train. A train that will take you far away. You know where you hope this train will take you; but you don’t know for sure. But it doesn’t matter. How can it not matter to you where that train will take you?
Mi torna in mente, in questi giorni, un ricordo giovanile, forse dell’inizio degli anni ’90.
Nella sede locale del movimento a cui appartenevo, davanti ad una piccola assemblea, si discuteva di catechismo e, per la precisione, della -ormai- incancrenita tendenza dei ragazzi ad abbandonare la Chiesa dopo la cresima.
Anche lì è stato coniato un termine in cui si utilizza il prefisso ‘post’: e, come per il suo più diffuso ‘cugino’ (il post-moderno) il post-cresima pare indicare una certa terra di nessuno, un incomprensibile tratto di un’epoca (lì storica, qui della vita spirituale del battezzato) che non si sa bene come prendere, come inquadrare.
E’ un ‘post’, un ‘dopo’ e basta…
Il ricordo è di una frase -neanche troppo originale- che dissi: ‘bisogna trovare modi nuovi per diffondere la fede, un nuovo linguaggio’. Frase (quando la pronunciai) in voga da almeno da trent’anni; e che lo è ancora, trascorsi che sono quasi altri trenta; così come accade per quell’altra frase che spesso faceva capolino in certe discussioni: ‘bisogna superare, nella catechesi, il nozionismo’.
L’aneddoto ci dice che, per questa cosa ‘fondamentale’ che è la trasmissione della fede, ormai -da quasi sessant’anni- sembriamo immersi in un loop temporale, nel solco di un disco rotto che ripete sempre lo stesso ritornello.
Che ci dibattiamo, anzi ci dimeniamo, dal 1966 in un’interminabile discussione sul ‘come’ trasmettere la fede, sul ‘come’ tramandarla, sul ‘come’ accendere i cuori. Come se ad accenderli dovesse essere il ‘come’ e non il ‘cosa’ trasmettere o tramandare.
E’ come se una notizia avesse più valenza non per il fatto che descrive, ma per il mezzo con cui viene propalata.
Sta di fatto che, da quando ci si è impantanati sul ‘come’, il ‘cosa’ fa pochi progressi in termini di diffusione, di avanzamento.
Sarà forzato, ma trovo questo -paradossalmente- poco evangelico. Forse Gesù, nella profondità e nell’infinità di sfaccettature da dare a questa Sua affermazione, ‘previde’ anche questa nostra ormai pluridecennale empasse, quando proruppe affermando che Egli era non solo la Vita e la Verità, ma anche la Via per arrivare all’una ed all’altra.
Che, insomma, il percorso, la strada, il ‘come’ (appunto) non deve spostarsi troppo dalla meta, dal traguardo, dal ‘cosa’, poichè essi coincidono nella Sua storia, in Lui.
Forese, per dirla con una citazione che abuso, il mezzo è davvero il messaggio, come intuì Marshall McLuhan proprio pensando a Cristo, uno che di broadcasting, di comunicazione, se ne intendeva.
* * * *
Leggo spesso, trascorsi -appunto- quasi trent’anni, che oggi dobbiamo limitarci a ‘intraprendere processi’, solamente ad ‘avviarli’.
A dare, insomma, spinte o spintarelle, stando attenti a non dare spintoni.
Senza preoccuparci però di segnalare (o di pretendere di sapere o programmare) dove andiamo o vogliamo fare andare gli altri.
Il viaggio, il percorso, il ‘come’ -insomma- sono diventati -sessant’anni dopo- il ‘cosa’. Una ‘meta’ che presuppone il non volere prefiggersi alcuna meta…
Mc Luhan -e, forse, Cristo- paiono capovolti: il messaggio da propagare è il mezzo; la vita e la verità consistono solo nella via, ma in una via qualsiasi; anzi in una via senza segnaletiche, che si lascia aperti tutti gli sbocchi…
Sarà così che il ‘come’ finirà per uccidere il ‘cosa’?
Molto interessante la citazione iniziale in rapporto al contenuto del post.
Quando ho visto per la prima volta il film, quella frase mi era sembrata un esempio perfetto di fideismo – credo perché lo voglio, perché lo sento. Non esistono “agganci” razionali per giustificare il credere sul non credere.
Una posizione che nel film era comprensibile, considerando la psicologia di chi la pronunciava e la situazione particolare.
Se questa diventa anche la forma mentis del cattolicesimo popolare… è un incubo da cui dobbiamo svegliarci!
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