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Del morire ‘dignitosamente’

Ci risiamo.

Riappare, a margine del provvedimento con cui la Cassazione si è occupata dell’istanza di Totò Riina di uscire di galera per passare altrove i suoi presumibilmente ultimi giorni, il concetto di ‘morte dignitosa’.

Non ci preoccupa certo il già straripante dibattito sul caso e… se sia il caso.

Questo presupporrebbe la lettura del testo ed un esame normativo che, da avvocato e cittadino, lascio volentieri ad altri.

Il che non significa che non abbia una mia idea sul tema: la tengo per me.

No, lo spunto è ghiotto, proprio perchè ritorna questo slogan della ‘morte dignitosa’ che, ovviamente, ha scatenato l’inferno sui media, anche social, appioppato -sia pure in via ipotetica- al c.d. ‘Capo dei Capi’.

Mi chiedo brutalmente: c’è una ‘dignità’ del morire che giustifichi una ‘dignità’ nel modo di morire?

Una risposta cattolica, credo, contenga in sè l’inevitabile et-et, qui più crudo e spiazzante che mai.

Il morire è un… insulto insopportabile alla vita, specie se… ci capita personalmente o achi è vicino.

Qualcosa -che solo un determinismo ed un positivismo pacchiani possono chiamare ‘istinto di sopravvivenza’- si ribella nel profondo dell’uomo alla sola idea della propria morte. Il proprio morire non ha alcuna ‘dignità’, perchè non è questo a cui ci si sente chiamati.

Paradossalmente, coloro i quali vogliono morire, specie per evitare atroci sofferenze, lo confermano: dicono, infatti, ‘non è vita’, poichè una vita nel dolore è anticipo di morte nella qualità o nella quantità delle potenzialità umane.

Per quanto grottesco, nel suo essere pateticamente prometeico, l’epitaffio che sta sulla tomba di Claudio Villa ( “Vita sei bella, morte fai schifo”) ha un che di vero: la morte ci fa più ‘schifo’ di ogni cosa, la sentiamo innaturale, la rifuggiamo.

Credo sia, sempre in una prospettiva di fede, un retaggio dell’immortalità dell’anima che si unisce all’inevitabile unità di quest’ultima, nell’essere umano, con la corporeità.

In questo senso, morire non è affatto ‘dignitoso’, non può mai esserlo.

Tuttavia, ed ecco l’altro estremo dell’ossimoro, morire è l’atto più ‘dignitoso’ che l’uomo possa… compiere, specie se si è lucidi nel momento fatidico.

L’uomo sa di dover morire: e, nella prospettiva cristiana, questo è un passaggio verso l’eternità; una nuova ‘partenogenesi’; una pasqua in cui il carattere ignoto delle ‘destinazione’ non sminuisce, ma -se possibile- amplifica la solennità del momento.

Un atto che, in epoche ormai ‘remote’ implicava una socialità, non solo familiare, consona all’importanza del momento: si aprivano, per il parente o l’amico, le porte di un Altrove.

Il tutto implicava -ed implica ancora, anche se in forme diverse- bilanci di vita; e ci si ‘pesava’ forse, finalmente, senza alibi nè camuffamenti, in modo sincero ed onesto.

Il morire, insomma, implica anche la ‘dignità’ dell’essere umano: quella di chi è consapevole, onesto fino in fondo con sè stesso, portatore di un giudizio su di sè scevro da opportunismi o di ‘ruoli’ da sostenere.

Non è una ‘dignità’ di tutti: se prevale la ribellione verso la morte, questo ‘esame’ o ‘soppesamento’ di sè stessi può non accadere.

Ma, se accade, è un giudizio che, nel credente, sarà una preparazione di quello, ben più profondo e decisivo, che lo attenderà dietro la soglia appena varcata.

Difficile et-et, insomma, intenso ed abissale…

Eppure, la dignità massima e lo ‘schifo’ portati con sè dal morire convivono, ineluttabilmente, l’una con l’altro. In questa ‘convivenza’ si scontrano, si alternano, condizionando stati d’animo del morente e di chi sta a lui vicino.

La morte riassume davvero la condizione umana e non solo perchè vi pone fine.

Non è detto dunque che, per Totò Riina sarebbe una ‘passeggiata’ quella nella ‘dignità’ del morire. Anzi, in termini di patimento, potrebbe essere non dissimile dal morire col massimo del rigetto verso la propria fine, se non di più…

Spesso, infatti, il bilancio di sè stessi è davvero insopportabile.

Proprio perchè è un uomo, e non una ‘belva’, ci auguriamo -dunque- che il Corleonese muoia ‘dignitosamente’.

Oltre, comunque, troverà Chi saprà giudicarlo.

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