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Interstellar ovvero de “l’amor che move il sole e l’altre stelle”

Una delle poche cose recuperate dal vecchio blog.

Curiosa parabola quella di Christopher Nolan. Accusato di fare films criptici, difficili da capire ad una prima visione, il nostro ha disseminato la sua ultima fatica, Interstellar, di abbondanti discorsi sulla morte.

Il primo è, certamente, l’eclatante ripetersi delle strofe di Dylan Thomas sul come “non andarsene in quella buona notte”.

Ma c’è ancora dell’altro, tanto.

La dott.ssa Brand -una perfetta Anne Hathaway- approccia lo scettico Coop -il protagonista, interpretato da Mattew McConaghy- con un alto elogio dell’amore che supera il distacco fra vivi e morti. Lo stesso Coop, prima e durante la sua lotta corpo a corpo con il dott. Mann (un inquietante Matt Damon), si vede spiegato dal primo il senso del sacrificio di un individuo per l’intera specie e varie teorie su cosa vede una persona poco prima di morire.

“Missione Lazzaro” è il nome dato alle spedizioni che approcciano i tre pianeti di un’altra galassia che i nostri eroi visitano durante il film. Alla presenza in camera di Murph, la figlia piccola del protagonista, è dato l’esplicito epiteto di “fantasma”.

Il fluire delle straordinarie partiture di uno Hans Zimmer tutto nuovo, mai sentito, è contrassegnato da un uso diffuso dell’organo: come nelle funzioni religiose, specie quelle esequiali. Ed il titolo del brano che fa da sfondo alla più epica sequenza del film è “Detach”, “distacco”, ripetutoci due volte nella stessa scena in un incastro perfetto fra momento tecnico del volo spaziale e il momento antropologico del lasciare tutto ciò che rappresentava -anche nello spazio profondo- il vivere: l’ultima relazione rimasta con l’ultimo essere umano rimasto.

Eppure, tutto il pubblico recensire del film non ha fatto neanche un accenno al tema della morte.

Certo: sarà perchè Nolan, da bravo Nolan, imbastisce il consueto e stratosferico apparecchio visivo, sia pur partendo da un prologo volutamente dimesso, stanco, sfibrato (come il pianeta e l’umanità da anni in balia della “Piaga” che sta uccidendo il cibo sulla terra). Ma è stato, certo, perchè della morte è davvero difficile parlare, anche quando te la spiattellano quasi in faccia.

Il tutto è doppiamente singolare se si pensa che questo Interstellar -oltre al classico “2001: Odissea nello spazio” di Kubrick- è stato spesso raffrontato a “Gravity” del premio Oscar Alfonso Cuaron: un film, anch’esso, sulla morte e il distacco che, però, ci porta con i piedi sulla Terra solo per poterla dimenticare, la morte, per farsene -infine- una ragione.

Chris Nolan no: per lui il viaggio “circolare” di Coop è un immergersi, viceversa, nella realtà fino al punto da andarla a toccare nel profondo. Ed è un viaggio nella morte, nei suoi significati, che non può non declinarsi nel rapporto fra eternità e tempo.

Camuffata, infatti, nei paradossi temporali della relatività, nella singolarità del wormhole e del buco nero, nell’accelerazione improvvisa e drammatica delle lancette dell’orologio sul pianeta di Miller (interamente ricoperto da quel mare che simboleggia esso stesso la morte), la chiave del film sta nel rapporto fra aldiqua ed aldilà, fra il rimanere della figlia Murph e il partire del padre Coop. Nel paradosso del rapporto spazio-tempo (ma, potremmo anche dire, fra tempo e ciò che fuori dal tempo), Coop finisce con il restare sempre assieme a Murph.

E Nolan tratteggia questo scenario, all’inizio ed alla fine del film: all’inizio, Coop è il fantasma che sta dietro agli strani eventi ai quale assiste la piccola Murph e, in un paio di occasioni, lui stesso: libri che cadono, polveri raggranellate a formare un messaggio intellegibile in codice Morse. Alla fine, Coop, è immerso nella scena del tesseratto in cui il tempo è una dimensione tangibile come tutte le altre, può collocarsi davanti a ciascun momento della sua esistenza e dell’esistenza delle persone che ama (prima fra tutte, proprio Murph) per comunicare con loro.

E, ingenua ma geniale metafora dell’amore che supera il tempo e la barriera della finitezza, il modo per comunicare è la gravità, la forza che attrae i corpi gli uni verso gli altri.

“Capire come funziona” la gravità per salvare l’umanità: è la scommessa -perduta dalla sola ragione nella disperazione che si fa menzogna, prima di tutti verso sé stessi- del prof. Brand. Ma è la scommessa, vinta, dalla giovane professoressa Murphy Cooper, con un atto di fede nel “fantasma”, nel suo papà: che è tornato (o, molto più plausibilmente, è sempre stato lì in un eterno ritorno) per aiutarla, usando la stessa gravità.

“Capire come funziona” l’amore, fuori dalla metafora: sembrerebbe anche comportare, per Nolan, un atto di fede in ciò che non vediamo con i sensi, ma possiamo “sentire” solo con l’amore.

La gravità è un fine per l’umanità che deve lasciare tutta insieme una Terra irrimediabilmente compromessa per trovare la salvezza, ma la gravità è un mezzo. L’amore è il fine, ma anche il mezzo: ricorda, forse, qualcosa.

Vorrei chiuderla qui non senza aver aggiunto però tre ultimi spunti.

Il primo è Gargantua: il nome dato al buco nero “gentile”, preso dal personaggio di Rabelais per il quale i libri di un’educazione medioevale (scolastica) sono anche i maestri di vita. Dentro il mistero di quel buco nero, Coop viene catapultato in un infinito tesseratto la cui trama è la… libreria di casa sua, il suo sapere.

Il secondo, l’azzardo nolaniano: è quell’accenno -sfuggente ad ogni domanda- a quei “Loro”. Quelli che hanno collocato il wormhole vicino a Saturno. Quelli che hanno intrecciato il tesseratto. Quelli che hanno dettato a T.A.R.S. la “formula della gravità” che successivamente, Coop trasmette a Murph avvalendosi del ritmo sincopato e sempre ritornante delle lancette dell’orologio che il padre ha lasciato alla figlia.

“Chi sono ‘Loro’?“ chiede Coop al prof. Brand, senza risposta. “’Loro siamo i noi del futuro!” esclama Coop nel tesseratto. Sbagliando, forse. Perchè questi “Loro” trascendono la stessa “dimensione” dell’eternità in cui Coop si trova immerso dentro al buco nero. Ancora non li vede, non sembra “pronto”.

Non sono i noi del futuro: T.A.R.S., il robot a forma di monolite (di vera a propria lapide) che accompagna la spedizione nel viaggio interstellare, riceve da quei loro la chiave per risolvere la formula della gravità, per maneggiarne i segreti. Ma T.A.R.S. non li vede, né li fa vedere a Coop pur comunicando con essi.

E Coop riceve il messaggio da ‘Loro’ tramite T.A.R.S. : né più e né meno come li riceveva dai suoi figli mentre si trovava nello spazio profondo, ma senza vederli.

Infine, un accenno al finale: tutto lascia pensare che Coop e la figlia Murph (divenuta anziana) si rivedano in ospedale nell’esatto momento in cui lei muore. La figlia vede il padre nell’aldiqua o nell’aldilà?

Ovviamente, Nolan -more solito- non ce lo dice apertamente: ma i parenti che sono nella stanza di ospedale spariscono proprio nel momento in cui Coop si avvicina a Murph ed essi rimangono soli.

L’appuntamento fra due, che potrebbe essere immediato, viene “procrastinato” di quindici giorni senza un motivo davvero plausibile. Il luogo dove avviene -la stazione orbitante attorno a Saturno, tanto immensa da contenere una miniatura della Terra- è quasi onirico.

E, infine, Coop viene spedito dalla figlia morente a compiere l’ultima missione: “riprendere” la dottoressa Brand, rimasta da sola sul pianeta di Edmunds.

Chissà se, in fondo, è proprio questo lo step finale di questo “purgatorio” di Coop: l’ultimo recupero prima di poter incontrare coloro che, col sole, “muovono le altre stelle”.

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8 risposte a "Interstellar ovvero de “l’amor che move il sole e l’altre stelle”"

  1. Molto bello.
    Aggiungo qualche osservazione.

    Credo che la chiave per capire il senso del film sia la poesia citata dal dottor Brand. È una poesia scritta da Dylan Thomas per il padre morente.

    DO NOT GO GENTLE INTO THAT GOOD NIGHT,
    Old age should burn and rave at close of day;
    RAGE, RAGE AGAINST THE DYING OF THE LIGHT.

    Though wise men at their end know dark is right,
    Because their words had forked no lightning they
    DO NOT GO GENTLE INTO THAT GOOD NIGHT.

    Good men, the last wave by, crying how bright
    Their frail deeds might have danced in a green bay,
    RAGE, RAGE AGAINST THE DYING OF THE LIGHT.

    Wild men who caught and sang the sun in flight,
    And learn, too late, they grieved it on its way,
    DO NOT GO GENTLE INTO THAT GOOD NIGHT.

    Grave men, near death, who see with blinding sight
    Blind eyes could blaze like meteors and be gay,
    RAGE, RAGE AGAINST THE DYING OF THE LIGHT.

    And you, my father, there on the sad height,
    Curse, bless me now with your fierce tears, I pray.
    DO NOT GO GENTLE INTO THAT GOOD NIGHT.
    RAGE, RAGE AGAINST THE DYING OF THE LIGHT.

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  2. Ho trovato questa traduzione italiana:

    http://www.libriantichionline.com/divagazioni/dylan_thomas_non_andartene_docile_quella_buona_notte_maggio_1951

    Non andartene docile in quella buona notte,
    I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
    Infuria, infuria, contro il morire della luce.

    Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
    Perchè dalle loro parole non diramarono fulmini
    Non se ne vanno docili in quella buona notte,

    I probi, con l’ultima onda, gridando quanto splendide
    Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
    S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.

    Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
    Troppo tardi imparando d’averne afflitto il cammino,
    Non se ne vanno docili in quella buona notte.

    Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
    Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
    S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.

    E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
    Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
    Non andartene docile in quella buona notte.
    Infuriati, infuriati contro il morire della luce.

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  3. Questa poesia appare tre volte. Il professor Brand la recita quando la Endurance parte, la recita ancora in punto di morte, Mann recita la poesia quando sta lasciando il suo pianeta.

    La poesia contiene i due temi principali sviluppati nel film: l’amore intergenerazionale tra padri e figli, e la tensione dell’uomo a lottare contro la morte. Questi temi sono collegati: i figli sono l’immortalità della specie che trascende la mortalità dell’individuo, e viceversa, il culto degli antenati è la prima e basilare manifestazione del senso religioso e speranza in un “oltre”.
    Nella poesia sono indicati 4 atteggiamenti archetipici verso la morte:
    1. Wise men, uomini saggi, che accettano in teoria (“filosoficamente”) la necessità della morte “dark is right”, eppure… non sono contenti di morire.
    2. Good men, uomini buoni. Rimpiangono la morte e la fine delle azioni “splendide” che potrebbero ancora compiere.
    3. Wild men, tradotto come impulsivi, o forse anche selvaggi. Le loro azioni sono cattive (“affliggono il cammino del sole”).
    4. Grave men, gli austeri. Vivono la vita come da ciechi, e alla fine si accorgono di averla sprecata.

    Questi 4 atteggiamenti trovano corrispondenze nelle persone che vediamo morire nel corso del film:
    1) il professor Brand, il saggio
    2) Cooper, il buono, l’esploratore (la sua morte è simbolica come vediamo poi)
    3) Mann, il selvaggio, il cattivo
    4) Gli altri componenti dell’equipaggio della Endurance (soprattutto il povero Romilly, che letteralmente non vede avvicinarsi la propria morte e spreca 23 anni di vita)

    Ma la cosa molto interessante è che nella poesia la morte è definita “luce morente”. Come il buco nero nel quale è andato Cooper. Entrare in un buco nero è come morire: non potrai più tornare indietro.
    Da qui si sviluppa la simbologia del film.

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  4. Il viaggio nello spazio, e ancor più il buco nero, rappresentano la morte. Nella simbologia del film gli astronauti sono “morti” e in particolare Cooper “muore” quando entra nel buco nero, e per questo diventa il “fantasma”.

    Partendo da questo, rileggiamo passo passo la sceneggiatura e facciamo caso ai seguenti elementi.

    Inanzitutto il fatto che la bambina definisca “fantasma” il fenomeno nella sua stanza. Questa definizione la prende dal nonno, e Cooper commenta scherzosamente che il nonno dice così perché “sta per diventare anche lui un fantasma”. Ma è molto più serio quando arriva alla Nasa e, agli scienziati che gli chiedono come ha trovato il luogo, risponde:

    (faccio riferimento alla sceneggiatura ufficiale del film)

    COOPER It’s hard to explain, but we learned these coordinates from an anomaly…
    DOYLE What sort of anomaly?
    COOPER I don’t want to term it “supernatural”… but…
    WILLIAMS You’re going to have to, Mr Cooper. Real quick.

    Il tema del ritorno dalla morte è ancora accennato dal fatto che il progetto si chiama Lazzaro.

    Quando Cooper sta per partire, dice a sua figlia:

    COOPER After you kids came along, your mother said something I didn’t really understand – she said, ‘I look at the babies and I see myself as they’ll remember me.’ She said, ‘It’s as if we don’t exist anymore, like we’re ghosts, like now we’re just there to be memories for our kids.’ Now I realize – **once we’re parents, we’re just the ghosts of our childrens’ futures**.
    MURPH You said ghosts don’t exist.
    COOPER That’s right. I can’t be your ghost right now – I need to exist. Because they chose me. They chose me, Murph. You saw it.

    Cooper sta già annunciando la sua volontà di “diventare fantasma”, morire, per amore della figlia.
    Questo assume un significato completamente nuovo alla luce degli eventi del film.

    Quando la nave spaziale Endurance decolla, il professor Brand recita i primi versi della poesia. Siccome Mann più avanti chiede a Cooper “Brand ha recitato la sua poesia quando siete partiti?”, possiamo dedurre che questa era una sua abitudine.

    Abbiamo visto che la poesia è una sorta di augurio a chi sta per morire. E il rapporto tra chi è rimasto a terra e chi è partito assomiglia davvero a quello di una relazione tra i vivi e i morti. Gli astronauti possono ascoltare ma non possono rispondere. Il figlio di Cooper, Tom, nei messaggi dice “non so se stai ascoltando… forse devo lasciarti andare…” se ci facciamo caso, nel filmato ha anche le mani giunte, nella posizione della preghiera. E il professor Brand dice

    I talk to Amelia all the time. It helps.

    È un rito, un atteggiamento religioso. La telecamera a cui si rivolgono coloro che sono rimasti sulla terra è una lapide. È un altare.

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  5. Questo torna sorprendentemente nel discorso che Amelia Brand fa sull’amore, per supportare la sua proposta di andare da Edmunds. Esaminiamolo attentamente:

    COOPER You’re a scientist, Brand…
    BRAND I am. So listen to me when I tell you that love **isn’t something we invented** – it’s observable, powerful. Why shouldn’t it mean something?
    COOPER It means social utility – child rearing, social bonding –
    BRAND **We love people who’ve died** … where’s the social utility in that? Maybe it means more – something we can’t understand, yet. Maybe it’s some evidence, some **artifact of higher dimensions** that we can’t consciously perceive. I’m drawn across the universe to someone I haven’t seen for a decade, **who I know is probably dead**. Love is the one thing we’re capable of perceiving that transcends dimensions of time and space. Maybe **we should trust that, even if we can’t yet understand it**.

    Quando lo avevo ascoltato non mi aveva colpito molto, ma adesso che l’ho letto mi ha interessato molto di più.
    “Mi fido anche se non capisco”. La Brand, proprio nel momento in cui rivendica il suo essere una scienziata, espone un concetto che possiamo tranquillamente definire anti-scientista: l’abbraccio alla totalità del reale, compresa la porzione di esso che non riusciamo a vedere o a capire del tutto.

    La definizione dell’amore:
    “qualcosa che non abbiamo inventato noi”
    “un artefatto da una dimensione superiore”
    “trascende le dimensioni”
    Sono definizioni criptiche che potrebbero nascondere o non nascondere un riferimento velato alla trascendenza dell’amore. Le espressioni volutamente vaghe rientrano nel tipico cinema dei Nolan – soprattutto del fratello sceneggiatore, Jonathan Nolan. Chi ha visto la serie Person of Interest si sarà accorto dell’enorme quantità di allusioni religiosi che permeano il testo.

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  6. Ma il fatto estremamente interessante è che la Brand richiama l’amore verso i morti. Mentre Cooper cerca di criticarla riducendo l’amore a una logica da vantaggio evolutivo, quasi alla Dawkins, lei invece analizza l’amore alla sua dimensione di gratuità, incomprensibile in termini puramente razionalistici. E lo fa sulla base del culto dei defunti, la prima forma religiosa dell’essere umano.
    Nel discorso della dottoressa Brand c’è un nesso tra la trascendenza dell’amore al di là della morte e la trascendenza dell’essere oltre le dimensioni dello spazio e del tempo.

    Questa trascendenza meta-dimensionale è spiegata un po’ più avanti, dopo la tragedia del mancato recupero di Doyle (l’astronauta morto sul pianeta delle onde), quando Copeer e Brand perdono 23 anni sul pianeta. Cooper chiede se c’è un modo per tornare indietro nel tempo attraverso il buco nero, magari chiedendo aiuto a “loro”, e la Brand deve stroncare le sue speranze:

    Look, Cooper, they’re creatures of at least five dimensions – to them time may be just another physical dimension. To them the past might be a canyon they can climb into and the future a mountain they can can climb up … but to us it’s not, okay?

    La conversione della dimensione temporale in dimensione spaziale descrive il funzionamento del “tesseract”, il cubo a 4 dimensioni alla fine del film.

    Dopo il pianeta delle onde, l’equipaggio arriva sul pianeta del dott. Mann. Questo nome è gia evocativo: Mann, l’uomo per antonomasia. Amelia Brand lo definisce “era il migliore di noi”… lui rappresenta tutti noi. E Mann
    Mann è l’uomo, e l’uomo è corrotto (dal peccato originale), è caduto.
    A un certo punto afferma “quando ho lasciato la terra, ero pronto a morire… ma non avevo mai fronteggiato la possibilità che il mio pianeta non sarebbe stato quello giusto”.
    La sua caduta è iniziata con l’orgoglio. Mann non voleva semplicemente essere recuperato: voleva passare alla storia come quello che avrebbe guidato l’umanità nella sua nuova casa. E fallisce.

    Quando Cooper fa la “fionda gravitazionale” e lancia TARS verso il buco nero, il robot gli risponde

    See you on the other side, Coop

    Non certo perché sapesse che si sarebbero rivisti nel buco nero, ma come saluto ironico, la tipica cosa da dire quando si sta per morire, nel senso di un ben diverso “the other side”.
    Però il saluto risulta essere vero.
    Cooper entra nel buco nero, aspettandosi di morire. E simbolicamente muore: diventa il fantasma che aveva comunicato con la figlia. Ma questa “morte” è anche l’ingresso in una dimensione superiore che trascende lo spazio e il tempo.

    C’è un passaggio della sceneggiatura che avvalora questa simbologia. Quando Cooper è nella stanza
    d’ospedale dove saluta la figlia morente, la sceneggiatura lo descrive così:

    *And the family comes back in as Cooper releases Murphy’s hand, stepping back to let Murph’s kid and grandkids swarm over her… He watches them, their love, as if from another dimension. A man out of time. __A ghost__.*

    Cooper nel buco nero arriva alla conclusione che “loro siamo noi” cioè gli esseri trascendenti sono l’umanità che si è evoluta in un futuro lontanissimo ed è tornata nel passato (loop temporale) per aiutare i propri antenati.
    Insomma, “loro” sono i nostri figli.
    Questa conclusione viene comprensibilmente giudicata come una chiusura alla trascendenza, e quasi una elegia alla tecnoutopia di divinizzazione dell’uomo che “si salva da solo”.

    È una lettura possibile. Però io credo che si possa anche dare una lettura diversa e opposta: “loro” non sono i *figli*, bensì i _padri_ : quelli che ci hanno preceduto nella morte, che sono morti e in una “dimensione trascendente” , ma operano ancora per aiutarci (We love people who’ve died)

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  7. Mi rendo conto di aver scritto un sacco, ma dunque. Riassumendo.
    Interstellar parla della morte.
    La piaga che costringe l’umanità a lasciare il pianeta raffigura il destino di ogni essere umano che, per quanto vorrebbe prolungare i suoi giorni su questa terra (“rage against the dying light”), è costretto ad andarsene.
    Il viaggio nello spazio e il buco nero rappresentano la morte rispettivamente nel suo aspetto visibile all’uomo (il silenzio, l’oscurità) e nel suo aspetto assolutamente ignoto (“nessuno può vedere oltre l’orizzonte di un buco nero”).
    I misteriosi “dati quantici”, necessari a risolvere l’equazione per la sopravvivenza, sono la verità sulla morte, che l’uomo da solo non può trovare se non gliela dice qualcuno “dall’altra parte”.
    Cooper trova questa verità a) perché è disposto a sacrificarsi b) perché riceve l’aiuto di esseri superiori che sono i nostri “fantasmi”, i nostri padri.
    Grazie a questa verità, l’umanità può lasciare la terra e vivere non solo su altri pianeti, ma anche nello spazio, grazie alle stazioni spaziali costruite con la forza della gravità – cioè una forza che trascende lo spazio e il tempo. Come l’amore.
    Cooper porta all’umanità una verità che le permette di vivere al di fuori dei pianeti stessi, di “nascere in alto”.

    Insomma alla fine, opposta alla lettura del messaggio del film “l’uomo si salva da solo”, si può opporre la lettura che l’uomo è salvato perché è amato da un amore paterno, che ci aspetta, al di là del tempo e dello spazio.

    Ultima annotazione.
    Del protagonista sappiamo che il suo cognome è Cooper, ma non il suo nome. Non lo dicono mai. Bisogna leggere la sceneggiatura per scoprirlo.
    Indovinate quale ho scoperto essere il suo nome completo?

    http://interstellarfilm.wikia.com/wiki/Joseph_Cooper

    Joseph.
    Non riesco a immaginare nome migliore per un padre.
    Un uomo che si sacrifica per la salvezza dell’umanità, che “torna dalla morte” e porta a compimento “la resurrezione di Lazzaro”, le cui iniziali sono J.C.

    Vogliamo parlare di messaggi nascosti nella polvere? 😉

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